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21.04.2016 - Nuovo Regolamento DPI 2016/425 (G.U. 31/03/2016 - entrata in vigore 21/04/2018)
Il Nuovo Regolamento DPI entra in vigore il 20 Aprile 2016, abroga la direttiva 89/686/CEE e si applica a decorrere dal 21 Aprile 2018 (con le eccezioni di cui all'art. 48). Il regolamento stabilisce i requisiti per la progettazione e la fabbricazione dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) che devono essere messi a disposizione sul mercato, al fine di garantire la protezione della salute e della sicurezza degli utilizzatori, e stabilisce norme sulla libera circolazione dei DPI nell'Unione.

Si applica ai Dispositivi di Protezione Individuale (DPI), così definiti:
  1. dispositivi progettati e fabbricati per essere indossati o tenuti da una persona per proteggersi da uno o più rischi per la sua salute o sicurezza;
  2. componenti intercambiabili dei dispositivi di cui alla lettera a), essenziali per la loro funzione protettiva.
Non si applica ai DPI:
  1. progettati specificamente per essere usati dalle forze armate o nel mantenimento dell'ordine pubblico;
  2. progettati per essere utilizzati per l'autodifesa, ad eccezione dei DPI destinati ad attività sportive;
  3. progettati per l'uso privato per proteggersi da:
    • condizioni atmosferiche non estreme;
    • umidità e acqua durante la rigovernatura;
  4. da utilizzare esclusivamente su navi marittime o aeromobili oggetto dei pertinenti trattati internazionali applicabili negli Stati membri;
  5. per la protezione della testa, del viso o degli occhi degli utilizzatori, oggetto del regolamento n. 22 della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite concernente prescrizioni uniformi relative all'omologazione dei caschi e delle relative visiere per conducenti e passeggeri di motocicli e ciclomotori.
Categorie di rischio
La Classificazione dei DPI è effettuata per Categorie di Rischio da cui sono destinati a proteggere gli utilizzatori (Allegato I):
Categoria I
La categoria I comprende esclusivamente i seguenti rischi minimi:
  1. lesioni meccaniche superficiali;
  2. contatto con prodotti per la pulizia poco aggressivi o contatto prolungato con l'acqua;
  3. contatto con superfici calde che non superino i 50 °C;
  4. lesioni oculari dovute all'esposizione alla luce del sole (diverse dalle lesioni dovute all'osservazione del sole);
  5. condizioni atmosferiche di natura non estrema.
Categoria II
La categoria II comprende i rischi diversi da quelli elencati nelle categorie I e III.
Categoria III
La categoria III comprende esclusivamente i rischi che possono causare conseguenze molto gravi quali morte o danni alla salute irreversibili con riguardo a quanto segue:
  1. sostanze e miscele pericolose per la salute;
  2. atmosfere con carenza di ossigeno;
  3. agenti biologici nocivi;
  4. radiazioni ionizzanti;
  5. ambienti ad alta temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una temperatura dell'aria di almeno 100 °C;
  6. ambienti a bassa temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una temperatura dell'aria di – 50 °C o inferiore;
  7. cadute dall'alto;
  8. scosse elettriche e lavoro sotto tensione;
  9. annegamento;
  10. tagli da seghe a catena portatili;
  11. getti ad alta pressione;
  12. ferite da proiettile o da coltello;
  13. rumore nocivo.
Il Regolamento DPI entra in vigore il 20 Aprile 2016 e si applica a decorrere dal 21 Aprile 2018, ad eccezione:
  1. degli articoli da 20 a 36 e dell'articolo 44, che si applicano a decorrere dal 21 ottobre 2016;
  2. dell'articolo 45, paragrafo 1, che si applica a decorrere dal 21 marzo 2018.
La direttiva 89/686/CEE è abrogata a decorrere dal 21 aprile 2018.

29.07.2016 - Il defibrillatore in ambito sportivo
Già prorogato al 20 luglio scorso, l'obbligo per le società sportive amatoriali e non agonistiche di dotarsi del DAE (Defibrillatore Semiautomatico) slitta nuovamente: l'entrata in vigore di questo obbligo è stata postata al 30 novembre prossimo.
Il Decreto Balduzzi, datato 24/04/2013, reca la “Disciplina della certificazione dell'attività sportiva non agonistica e amatoriale e linee guida sulla dotazione e l'utilizzo di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita”. Il termine appena superato era conseguenza di una prima proroga di sei mesi, prevista dal Decreto 11/01/2016, che ha modificato l'originaria scadenza del Decreto Balduzzi, inizialmente prevista al 20 gennaio di quest'anno.
I motivi del nuovo differimento (oltre 4 mesi) vengono indicati nel decreto e sono molteplici; tra questi, il fatto che sul territorio nazionale non sono state ancora completate le attività di formazione degli operatori circa il corretto utilizzo dei defibrillatori semiautomatici; questo obbligo può essere assolto con la frequenza a corsi accreditati a livello regionale, secondo quanto disposto dalle singole Regioni.

15.06.2016 - Malattie professionali nei trasporti
Ogni giorno autisti di mezzi pubblici, ma anche camionisti di grandi e piccole realtà, oltre ai cosiddetti "padroncini", trasportano merci o persone da un capo all’altro dell’Italia, e non solo.
A fronte di alcune centinaia di migliaia di addetti operanti nel settore dei trasporti e delle attività di magazzinaggio il numero di denunce per malattie professionali inviate agli Enti preposti è sempre decisamente ridotto. Una indagine a campione condotta dall’Inca con Filt-Cgil ha voluto approfondire quali siano le reali condizioni di lavoro; i dati raccolti non sono particolarmente estesi (sono stati raccolti quasi 200 questionari), ma quanto emerge è abbastanza inquietante.

Il campione esaminato dai medici legali dell’Inca fa emergere una realtà nascosta, ma molto insidiosa: gli addetti molto spesso denunciano condizioni di lavoro che vanno oltre i limiti stabiliti nei diversi contratti di lavoro: spesso gli automezzi sono obsoleti; sovente non è data la possibilità di rispettare le pause di riposo, portando il lavoratore a guidare bel oltre le 10-12 ore/giorno; inoltre si è rilevata l’assenza completa dell’infortunio stradale, tra le cause delle patologie correlate al lavoro. Eppure, il 42% degli intervistati dichiara che i danni alla salute sono da ricondurre a questo tipo di incidenti; non fa meraviglia che solo 5 lavoratori si siano visti riconoscere la malattia professionale.

L’età media degli intervistati è significativamente elevata; pochi i giovani, pochissimi quelli assunti dopo il 2000. Dall’analisi delle singole risposte emerge che i disturbi si concentrano maggiormente nell'area lombo-sacrale (70%) ed in quella cervico-brachiale (50%). Ciononostante, in presenza di fenomeni acuti quali ernie, molto spesso l’evento non viene denunciato come infortunio. Stando ai dati ufficiali dell’Inail, nel 2012, su 1.766 denunce di malattie professionale solo 1.380 sono riconducibili a patologie osteo-articolari e muscolo-tendinee; seguono quelle del sistema nervoso e degli organi di senso (137 i casi di ipoacusie da rumori). Infine, 15 casi di disturbi psichici, anche dovuti da stress cronico. A questi si aggiungano gli 80 morti, di cui 60 provocati da incidenti stradali.

A fronte di una visione arcaica e superata della sicurezza, ancor oggi ritenuta un costo e non un investimento, appare evidente come anche l’atteggiamento del lavoratore stesso, che non segnala i disturbi al medico competente privilegiando il medico di famiglia, renda più difficoltoso il passaggio ad una nuova cultura della sicurezza; rivolgersi ad una figura considerata "neutrale" attenua la paura di risultare non idoneo alla mansione e, quindi, di perdere il posto di lavoro. Ma così facendo il rischio di non avere la giusta percezione del problema si acuisce, e ricade immediatamente sulla salute del lavoratore, ed alimenterà un circuito vizioso che ha il lavoratore come "vittima".

Anche in questo settore, quindi, una giusta sensibilizzazione di tutti i soggetti non può che migliorare ed aumentare il benessere lavorativo.

21.05.2016 - Rischio in itinere: anche gli infortuni in bicicletta sono indennizzabili
Affinché un infortunio in itinere, verificatosi in bicicletta, venga riconosciuto (ed indennizzato) dall'Inail non si deve unicamente considerare gli aspetti relativi alla distanza percorsa, ma anche le consuetudini e le esigenze del lavoratore: è quanto stabilisce la Corte di Cassazione, con sentenza n. 7313/2016.
Un lavoratore, terminato il turno lavorativo, fa ritorno a casa, utilizzando la bicicletta, e lungo il tragitto viene coinvolto in un incidente. La sentenza della Corte suprema mette in discussione la rigida impostazione precedente, che non riconosceva criteri di indennizzo quando la distanza tra l'abitazione e il luogo di lavoro fosse percorribile a piedi (c.d. "rischio elettivo", ovvero condizione a cui il lavoratore s'è esposto deliberatamente). A questa impostazione, già precedentemente adottata dalla Cassazione stessa, si era rifatta l’Inail, ed in seguito anche la Corte di Appello di Firenze: entrambe avevano negato il riconoscimento dell’indennizzo al lavoratore.
La nuova sentenza prende a riferimento quella giurisprudenza che riconosce al lavoratore la facoltà di avvalersi, comunque, di un mezzo di trasporto privato, anche in presenza di servizi pubblici di trasporto compatibili con l’orario di lavoro; ma soprattutto viene dato risalto alle necessità di vita familiari, umane e economico-sociali. La Cassazione afferma che occorre “(…) considerare gli standard comportamentali esistenti, tra i quali quello di favorire l’uso di questo mezzo, anche alla luce dell’entrata in vigore della legge n. 221/2015 (cosiddetto collegato ambientale)”.
Accogliendo la richiesta del lavoratore, la Cassazione ha sancito che la distanza non può essere ritenuta un criterio selettivo assoluto per giustificare l’uso del mezzo privato, e che la valutazione va fatta in relazione a molteplici fattori, non definibili in astratto; si deve cioè tener conto di vari elementi comportamentali esistenti nella società civile, all’interno di un determinato contesto socio-economico.
Questa sentenza assume ancor maggiore importanza se pensiamo all'incidenza degli incidenti stradali sul totale: sono circa il 20% del totale; e di questi, più del 75% si è verificato nel percorso casa-lavoro-casa.

14.05.2016 - Il mobbing, questo sconosciuto
La riflessione odierna verte sul mobbing, un pericoloso rischio trasversale che caratterizza molte situazioni lavorative.
Consiste in una serie di azioni moleste, offensive, atte ad escludere socialmente qualcuno, o ad influenzarne negativamente le attività lavorative. Si tratta di un processo progressivo, nel corso del quale una persona si trova ad essere in una posizione di inferiorità. Perché una particolare interazione o processo possa essere definita "mobbing" è necessario che si verifichi in modo ripetuto e sistematico, in un periodo di almeno sei mesi, ovviamente sul luogo di lavoro.
Già da questa semplice definizione si può intuire come il mobbing non sia un fenomeno riferibile a conflitti isolati, né tantomeno adatto a descrivere attriti tra due persone che abbiano un’uguale capacità di fronteggiare l’altro.
Gli studi più recenti dimostrano che, nella fase iniziale, il disagio patito da chi subisce questo fenomeno non è manifesto, e quindi è più difficile intervenire. La sottovalutazione del problema (o la sua mancata risoluzione) può generare una serie di conseguenze negative per il lavoratore, tra cui possiamo identificare forme di ansia e di impotenza comportamentale, una ipertrofica percezione d’ingiustizia (che influenza la soddisfazione lavorativa, e di conseguenza il rendimento), e pure patologie psicosomatiche di varia gravità.
Ma possono esserci diversi svantaggi anche per l'azienda, come ad esempio la diminuzione della produttività, l'aumento dell'assenteismo e del turn-over, situazioni che influiscono negativamente sul rapporto costi/benefici, per non parlare delle possibili ricadute sotto il profilo legale.
Una prima forma di intervento può essere l'effettuazione di valutazioni periodiche, in modo da poter approntare una linea di intervento tempestiva, che risolva il problema già nelle fasi iniziali; molte ricerche dimostrano infatti che le probabilità di successo sono inversamente proporzionali al tempo trascorso.
Spesso le migliori soluzioni passano attraverso i focus-group, lavori di gruppo che consentono di mitigare gli eventuali attriti tra i lavoratori; ma altrettanto spesso le valutazioni periodiche evidenziano la necessità di introdurre anche cambiamenti a livello organizzativo. In entrambi i casi, però, è opportuno affidarsi ad uno specialista, sia esso uno psicologo del lavoro o un esperto di organizzazione aziendale.

28.04.2016 - Giornata Mondiale dedicata alla Salute ed alla Sicurezza sul Lavoro
Come ogni anno, il 28 aprile è la Giornata Mondiale dedicata alla Salute ed alla Sicurezza sul Lavoro; per il 2016 l'obiettivo è puntato sullo stress correlato al lavoro.
L'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) pone grande attenzione sui mutamenti che stanno interessando il mondo del lavoro, ed evidenzia come i rischi psicosociali siano punti critici per l'intero sistema lavorativo: precarietà e diminuzione delle opportunità lavorative, aumento dei ritmi e degli orari, maggiore flessibilità, aumento della concorrenza, aspettative disattese, il sempre più labile confine tra lavoro e vita privata, sono tutti aspetti che caratterizzano la situazione a livello globale, e generano serie conseguenze per il benessere e la salute mentale dei lavoratori.
ILO ha inoltre pubblicato un rapporto che fotografa le varie modalità con cui in diverse aree geografiche si approccia il rischio stress lavorativo, dalla valutazione all'adozione di soluzioni mirate.
Stando alla definizione fornita dall'European Agency for Safety and Health at Work si può parlare di Stress da Lavoro Correlato come della "... percezione di squilibrio avvertita dal lavoratore, laddove le richieste del contenuto, dell’organizzazione e dell’ambiente di lavoro eccedono le capacità individuali per fronteggiare tali richieste".
In termini generici è importante sottolineare come lo stress non sia di per sé una malattia, bensì è una condizione innescata nell’organismo umano da una o più sollecitazioni esterne, che comportano una serie di adattamenti; se questa condizione si protrae nel tempo, senza adeguate contromisure, può sviluppare forme patologiche, riducendo l’efficienza e l'efficacia sul lavoro.
In tutte le aziende italiane è obbligatorio effettuare la valutazione dello Stress Lavoro Correlato; Il processo di valutazione del rischio parte dall’identificazione delle fonti di stress nell’ambiente di lavoro, attraverso l’utilizzo di opportuni indicatori, suddivisi tra quelli relativi al contesto lavorativo e quelli riconducibili invece al vero e proprio contenuto del lavoro.
A puro titolo di esempio, gli aspetti critici del contesto possono riguardare la cultura e la funzione organizzativa (assenza di obiettivi professionali, comunicazione interna), l'ambiguità nella definizione del percorso professionale e del ruolo all’interno dell’azienda, la mancanza di autonomia relativamente alle responsabilità assegnate. Per quando riguarda invece il contenuto del lavoro, le fonti di stress possono derivare da una inadeguata organizzazione del lavoro, da carenze infrastrutturali degli ambienti, da orari e turni di lavoro particolarmente logoranti, e via dicendo.
Una volta completata questa analisi, le eventuali criticità emerse dovranno essere risolte con approfondimenti mirati; la Commissione Consultiva Permanente si è poi espressa in merito alle tempistiche da rispettare, raccomandando l’aggiornamento della valutazione con una frequenza non inferiore ai tre anni.